lunedì 20 settembre 2010

Sul Testamento Biologico


Quello che propongo, lo so bene, è un argomento delicato. Molto.
Ma a farmici pensare (di nuovo) è stato, oggi, un illustre accademico (e personaggio veramente famoso) che mi onora della sua amicizia: non oso parlare di stima perché, sinceramente, me ne vergognerei.
Mi ha chiamato al telefono e mentre mi parlava di altro (di un'iniziativa della quale è protagonista), di passaggio mi ha detto di essere malato, molto malato.
Dopo avermi dato i dettagli e mentre io cercavo disperatamente di non piangere e di mantenere un tono di voce normale (spero di esserci riuscito, amico mio, ma temo che tu sia troppo sveglio, per me...) mi ha spiegato che lui farà di tutto per combattere e poi "sarà quello che deve essere".
Ecco, quello che deve essere. E, a dirlo, era una persona di straordinaria intelligenza, di enorme cultura, di rara umanità e, vivaddio, perfettamente lucida e raziocinante.
E, mentre con la scusa di un caffè uscivo dalla redazione (non è bello che un uomo di mezza età si faccia vedere mentre piange come un adolescente, no?), mi è tornato in mente il cosiddetto Testamento Biologico.

Mi sembra di capire, infatti, che  altro non sia che una dichiarazione che, per esempio io e ora, stabilito che la mia salute è buona e che sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali (ovvio che tutto è relativo...), potrei fare, chiedendo, nel caso non potessi farlo in futuro (per un incidente, per un male improvviso o per l’eventuale precipitare di una patologia della quale potrei essere affetto) che interventi, come la rianimazione cardiopolmonare, la ventilazione assistita, la dialisi, la chirurgia d'urgenza, le trasfusioni di sangue, l'alimentazione artificiale, le terapie antibiotiche, non siano messi in atto, qualora il loro risultato fosse, a giudizio di due medici, dei quali uno specialista: il prolungamento del mio morire, il mantenimento di uno stato d'incoscienza permanente, il mantenimento di uno stato di demenza, la totale paralisi con incapacità a comunicare.
E, nel caso io fossi affetto da una malattia allo stadio terminale, da una malattia o una lesione cerebrale invalidante e irreversibile, da una malattia implicante l'utilizzo permanente di macchine o altri sistemi artificiali, incluso ogni forma di alimentazione artificiale, e tale da impedirmi una normale vita di relazione, potrei dichiarare il rifiuto di qualsiasi forma di rianimazione o continuazione dell'esistenza dipendente da macchine e di non voler essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico.

Ora, visto che viviamo in un Stato di diritto, mi permetto di citare:

Tribunale di Roma, Sentenza 17.10.2007 n. 15381
“…è evidente che il rifiuto di una terapia, anche se già iniziata…costituisce un diritto costituzionalmente garantito e già perfetto, rispetto al quale sul medico incombe, in ragione della professione esercitata e dei diritti e doveri scaturenti dal rapporto terapeutico instauratosi con il paziente, il dovere giuridico di consentirne l'esercizio, con la conseguenza che, se il medico in ottemperanza a tale dovere, contribuisse a determinare la morte del paziente per l'interruzione di una terapia salvavita, egli non risponderebbe penalmente del delitto di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operato alla presenza di una causa di esclusione del reato e segnatamente quella prevista dall'art. 51, c.p.. La fonte del dovere per il medico, quindi, risiederebbe in prima istanza nella stessa norma costituzionale, che è fonte di rango superiore rispetto alla legge penale, e l'operatività della scriminante nell'ipotesi sopra delineata è giustificata dalla necessità di superare la contraddizione dell'ordinamento giuridico che, da una parte, non può attribuire un diritto e, dall'altra, incriminarne il suo esercizio”.

Articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (L. 57/2005 e L. 130/2008)
Diritto all'integrità della persona
1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
…il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge (...)
La Cassazione civile (Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748) ha interpretato l’art. 3 della Carta nel senso che “il consenso libero e informato del paziente all’atto medico vada considerato, non soltanto sotto il profilo della liceità del trattamento, ma prima di tutto come un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo, afferente al più generale diritto all’integrità della persona”.

Articolo 35 del Codice di deontologia medica
Acquisizione del consenso
Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente... In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente.

Legge 28 marzo 2001, n. 145.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani.
Consenso
5. Regola.
Un intervento nel campo della salute può essere effettuato solo dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto un’informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell'intervento e sulle sue conseguenze e rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.
(testo originale)
Consentement
5. Règle générale.
Une intervention dans le domaine de la santé ne peut être effectuée qu'après que la personne concernée y a donné son consentement libre et éclairé. Cette personne reçoit préalablement une information adéquate quant au but et à la nature de l'intervention ainsi que quant à ses conséquences et ses risques. La personne concernée peut, à tout moment, librement retirer son consentement.
9. desideri precedentemente espressi.
I desideri precedentemente espressi circa l'intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione.
(testo originale)
9. Souhaits précédemment exprimés.
Les souhaits précédemment exprimés au sujet d'une intervention médicale par un patient qui, au moment de l'intervention, n'est pas en état d'exprimer sa volonté seront pris en compte.

Corte costituzionale, 9 luglio 1996, n. 238
La Corte costituzionale ha escluso categoricamente che una persona possa essere costretta a subire un intervento sanitario non voluto, in assenza di una norma che esplicitamente lo imponga, affermando che esso costituisce "un diritto inviolabile rientrante tra i valori supremi, quale indefettibile nucleo essenziale dell'individuo, non diversamente dal contiguo e connesso diritto alla vita ed alla integrità fisica, con il quale concorre a creare la matrice prima di ogni altro diritto costituzionalmente protetto della persona".

Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 438
La Corte costituzionale è intervenuta in modo specifico ed argomentato sul consenso informato. Ha affermato solennemente che esso, “inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico”, “si configura quale vero e proprio diritto della persona”. Proprio la sua duplice legittimazione nell’art. 13 e nell’art. 32 della Costituzione, fa sì che il consenso informato sia “sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale”. In questo senso, secondo la Corte costituzionale, il consenso informato è “un principio fondamentale in materia di tutela della salute”.

Cassazione penale sez. I, 29 maggio 2002, n. 26446
La Corte afferma l'assoluta "rilevanza della volontà del paziente quando si manifesti in forma inequivocabilmente negativa e si concreti in un rifiuto del trattamento terapeutico prospettatogli“. In questo caso, il medico "in presenza di una determinazione autentica e genuina non può che fermarsi, ancorché l'omissione dell'intervento terapeutico possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell'infermo e, persino, la sua
morte...giacche per il medico, di fronte ad un comportamento nel quale si manifesta l'esercizio di un vero e proprio diritto, la sua astensione da qualsiasi iniziativa di segno contrario diviene doverosa, potendo diversamente configurarsi a suo carico persino gli estremi di reato" .

Cassazione civile sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748
La questione del rifiuto degli interventi salvavita.
Secondo un’ormai consolidata giurisprudenza, la necessità del consenso informato riguarda anche gli interventi salvavita, così che al paziente è attribuito, su un piano di “indubbia rilevanza costituzionale”, “un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita”. E, in questa prospettiva, il “rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale”.

Cassazione civile sez. III, 15 settembre 2008, Numero: n. 23676
“Va in premessa osservato come il collegio non intenda punto negare il più generale principio (di indubbia rilevanza costituzionale, che emerge, tra l'altro, tanto dal codice di deontologia medica quanto dal documento 20.6.1992 del comitato nazionale per la bioetica) in forza del quale va riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita”.

Rifiuto dell’accanimento diagnostico-terapeutico: la deontologia medica
Articolo 16  del CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA
-Accanimento diagnostico-terapeutico –
Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita.

Rifiuto dell’accanimento diagnostico-terapeutico: la Chiesa cattolica
…sul cosiddetto “accanimento terapeutico”, ossia: “certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi…La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte”.
“Evangelium vitae”, 1995, § 65
Documento di riferimento: Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione
sull’eutanasia – Iura et bona, 5 maggio 1980

Ecco, non a caso ho lasciato per ultimo questo stralcio. A chi è così fortunato dal provare una fede autentica, infatti, chiedo questo: l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte, a cui fa riferimento la Congregazione per la Dottrina della Fede, non dovrebbe essere un diritto da salvaguardare?

Chi vuole dichiarare il rifiuto di qualsiasi forma di rianimazione o continuazione dell'esistenza dipendente da macchine e di non voler essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico lo vuol fare solo per sè stesso, non per altri. Il suo è un diritto sancito dalla Legge: perché non rispettarlo?

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